Sandra
Ormai non nascondevano più il pacchetto con le fiale. Stava in un cassetto del comò con un paio di siringhe per quando Karin ne avesse avuto bisogno. Se ne fosse mancata una avrebbero saputo che ero stata io a sottrarla, e non credo che l’avrebbero presa bene. In fondo mi ero liberata di molte cose, di molte paure, e la fortuna non dura per sempre.
Quando arrivai, misi il sacchetto di plastica della farmacia sul piano della cucina, tirai fuori un cucchiaio dal cassetto, aprii la confezione di sciroppo per la tosse e lo presi davanti a loro.
«Eravamo preoccupati», disse Karin. «Ci hai messo molto.»
«Ah sì?» risposi un po’ nervosa. «Non ho guardato l’orologio. »
Tossii perché non mi facessero più domande. La tosse finta provocò quella vera: non riuscivo più a smettere.
«Non vogliamo immischiarci nella tua vita, è solo che eravamo preoccupati. Di notte, su per quella strada piena di curve, nelle tue condizioni. Devi stare attenta. Noi vogliamo solo il tuo bene.»
Karin si era rimessa, aveva lo sguardo sveglio, faceva paura. Mi guardava tossire senza fare niente. Dovetti appoggiarmi alla colonna della cucina e continuai a tossire. Fu Fred che si alzò e mi diede un bicchiere d’acqua.
«Dovresti metterti a letto, non stai bene», commentò Karin.
Non mi invitò a sedermi con loro. Ma a dire il vero, anch’io volevo stare il meno possibile in loro compagnia. Dietro le loro facce c’erano quelle della loro giovinezza, insolenti e senza scrupoli. Forse Karin si era un po’ addolcita con l’età e con tutto ciò che aveva imparato nel cammino della vita fino ad arrivare a quel punto. Forse anche la sua debolezza l’aveva resa più umana, o perlomeno l’aveva obbligata a riconoscere che aveva bisogno dell’aiuto degli altri. Ma anche se fosse vissuta mille anni, non sarei mai riuscita a farmi un’idea di ciò che pensava e sentiva quella donna, a cui il polso non era tremato mentre iniettava ogni genere di porcherie nell’organismo dei prigionieri, per contribuire agli esperimenti sui gemelli. Se quello le era sembrato normale, se fra un’atrocità e l’altra poteva rilassarsi leggendo i suoi romanzi d’amore, io non sarei mai riuscita a sapere cosa stava pensando e che piani avesse per me.
Dissi che se non mi fossi rimessa sarei dovuta tornare dalla mia famiglia.
Mi guardavano seri.
Per sfuggire al loro sguardo andai verso il frigorifero, lo aprii e mi versai un bicchiere di latte. Lo infilai nel microonde mentre pensavo a cosa avrei potuto aggiungere senza compromettermi.
«Qui hai un futuro», disse Fred. «Tuo figlio merita un’opportunità, e la tua famiglia non scappa. Non potrai mica nasconderti per tutta la vita sotto la sottana di tua madre... si dice così?»
«Noi non abbiamo figli né nipoti», continuò Karin, «però qualcuno dovrà succederci, continuare a curare questo giardino e riempire la piscina d’acqua in estate, non so se mi capisci. »
Tirai fuori il bicchiere dal microonde e iniziai a bere a piccoli sorsi. Mi stavano facendo capire che sarebbero stati i nonni che sognavo, i nonni che mi avrebbero reso più facile la vita. Solo che io ormai non mi illudevo più che potessero esserlo.
«Quello che hai fatto oggi», aggiunse Fred, «è stato un atto di coraggio. Prima che Otto ti desse il pacchetto, sei andata in bagno e hai cercato lì. Ce lo ha detto Frida. Vogliamo credere che se ne avessi avuto l’opportunità saresti stata disposta a rubare per aiutare Karin.»
Non dissi niente, sorrisi appena mentre continuavo a bere. Non era vero. Non mi sarei arrischiata a fare una cosa del genere per Karin, e non sarei neppure arrivata al punto di rubare. Quello che avevo fatto, lo avevo fatto perché volevo sapere, perché mi risultava insopportabile l’idea di tornare alla mia vita di prima lasciando le cose come stavano. Poche persone hanno qualcosa di importante fra le mani. Prima di conoscere Julián non sapevo niente dei nazisti. Lui li era venuti a cercare e io li avevo trovati senza cercarli, o meglio, loro avevano trovato me. E adesso eravamo lì, in una cucina, a fare finta che io sarei stata la loro nipotina prediletta.
«Non si può restare soli nella vita», disse Karin. «Quando sei solo è tutto più difficile, ti limiti a ciò che puoi fare da solo, ma se hai l’appoggio degli altri, di molti altri, ciò che prima era impossibile diventa possibile. Il gruppo dà potere: la cosa difficile è trovare un gruppo disposto ad accettarti e a proteggerti.»
Io non dicevo niente, li guardavo e bevevo.
«Hai una famiglia che ami e alla quale dovrai unirti molto di più», continuò Fred. Ogni volta che parlava, Karin lo osservava con molta attenzione, aprendo gli occhi più che poteva. Adesso mi rendevo conto che aveva paura di sbagliare. «E puoi avere noi e tutti i nostri amici.»
«Otto e Alice?» chiesi.
Karin allungò il braccio e mi prese la mano. Ebbi un brivido quando sentii la sua pelle, le sue dita nella mia mano. Riuscii a non tradire il minimo moto di repulsione fino a quando non la ritrassi delicatamente per riprendere il bicchiere.
«Sì, ne conosci già qualcuno.»
Si guardarono in segno di approvazione prima di rivelare qualcosa di importante. Prese la parola Karin.
«Abbiamo bussato a diverse porte, i nostri amici ci hanno dato il loro parere su di te e non sarebbe impossibile farti ammettere nella nostra Confraternita. Naturalmente non sarebbe facile, dovremmo convincere i più reticenti. Siamo tutti molto vecchi, molto conservatori, facciamo fatica ad abituarci alle facce nuove... anche se, non so se dovrei dirtelo, in realtà sono i giovani a essere più restii alla tua ammissione. »
«Non so cosa sia una confraternita. È una specie di setta?»
«Qualcosa del genere», disse Fred annuendo.
Karin lo rimproverò con lo sguardo: mai e poi mai avrebbe contestato l’operato di un ufficiale con la croce d’oro, ma ne aveva sicuramente voglia.
«Stiamo parlando del fatto di aiutarci l’un l’altro, di fare insieme cene e feste, e quando uno di noi ha un problema di dargli una mano. Non so cosa sia una setta», concluse Karin.
«Sono un po’ stanca», dissi simulando un altro colpo di tosse. «Sapete già che potete contare su di me per qualunque cosa, però questa storia della Confraternita... non so se sarei capace di farne parte, non so cosa si deve fare...»
Karin si alzò, venne verso di me e mi accarezzò i capelli. Non mossi neanche un muscolo, sembrava davvero una nonna.
«Riposati e pensaci, domani avrai le idee più chiare.»
«Buonanotte», dissi alzandomi e incamminandomi verso le scale. Arrivata al primo gradino mi ricordai dello sciroppo e tornai a prenderlo: pensai che sarebbe stato meglio tenerlo sotto controllo.
«Nel caso mi ritorni la tosse», aggiunsi.
Karin alzò la voce perché la sentissi mentre mi allontanavo.
«Abbiamo un po’ trascurato il corredino del piccolo.»
Mi addormentai pensando che avrei dovuto raccontare anche questo a Julián.